su Una per mille
Il tuo libro ha qualcosa di
Vincenzo Consolo, Le pietre di Pantalica, nello specifico. Ha radici
profondissime nel tempo e nella parola. La tua prosa è un duello continuo con
le sonorità più profonde e lascia sul campo figure retoriche prostrate, prive
di qualsiasi rilievo sintattico, operi sulla singola proposizione come Meneghello...
O De Luca. Entrambi figli di Petrarca.
È come se usassi le parole quali pietre
focaie, quelle che producono scintille dal loro sfregamento e godono di
un'immunità particolare: le figure
classiche: sineddoche, enjambement, chiasmo, etc. cedono tutte il passo a
sinestesie e onomatopee che però mutano in metronomi delle sensazioni, la musica prende il sopravvento sulla
struttura e le catene danzano finché ogni cliché retorico abdica esausto alla
propria funzione.
C'è qualcosa di ancestrale nella
tua scrittura, una danza della memoria a cui l'elemento maschile si può solo
affacciare ma mai addentrare, pena la perdita della propria identità di genere.
Si prova sovente una sensazione di vertigine leggendoti e non è sempre
un'esperienza salutare. Tocchi dei nodi che non si sciolgono se non vengono
tagliati ed una sorta di trauma è destinato a ripetersi così come nella poetica
di Yeats.
Tu parli di ferite ctonie
che mai si rimargineranno, non c'è tempo né anima che possa compiere questo
miracolo. Esiste solo un destino: ripetere questo doloroso tableau vivant
all'infinito, ricordandolo.
Leggerti è stato
sconcertante come ogni letteratura che sia degna di questo nome.
Dirti se mi sia piaciuto...
ecco, diciamo che il tuo è uno dei rari libri per cui verrebbe piuttosto da
chiedersi "ma io sarò piaciuto a lui?"
Andrea Poletti
grazie...
RispondiEliminaa te
EliminaLa chiusa di questa "nota critica" è splendida!
RispondiEliminagelsobianco
sì,
RispondiEliminaper me anche sorprendente!