Il doppio Volo
Uno sdoppiamento di personalità implica due verbi, due
stati, due tipi di pensiero e via via crescendo, due persone. Qualunque cosa si
raddoppi, metaforicamente, non può essere concepita ferma, crea un movimento di
volume che prende il volo o casca, ma sempre da un punto basso o alto di vuoto.
Cristina Bove, dai suoi 18 anni in poi o forse da sempre, si
è costantemente sentita nel vuoto e, per i motivi personali che sappiamo, è
riuscita a fare di questo vuoto, un suo ambiente mobile. Da qui alla scrittura,
il passo è immediato. Lei è un’artista e ha saputo rendere col suo romanzo, un concreto Dono tangibile,
vissuto anche con canoni di normalità che allora assumono i segni di un paradosso
in terra, altrimenti detto miracolo.
Non dobbiamo avere paura delle definizioni, come Bove non ha
mai avuto paura della vita e della non
vita. In lei non c’è mai stata paura, perché la sospensione reale in cui si
trovava la poneva dentro e fuori, sopra e sotto qualsiasi stabilità morale
cercata dai più e ritenuta indispensabile allo svolgimento di un’esistenza
umana. Davvero non è detto – qui sta l’insegnamento che ci dà, il dito
indicativo che segnala verbi, stati nominali alternativi. E noi dobbiamo non
solo immaginarli, ma crederci.
Tutto il romanzo autobiografico è trascinato da quel volo, senza che Bove esprima giudizi su
di sé, bensì ci sono tante riflessioni sul mondo, sui pensieri che formano un
certo costume morale, sulla storia collettiva. È un romanzo soprattutto di
pensiero direi, perché ci insegna come possa diventare pensiero positivo o
educazione della mente, il non temere una convivenza nostra con l’indicibile altro che, ci piaccia o no, sempre ci
abita e spesso ci determina.
Lei non ha mai temuto il viaggio verso la fine e il ritorno
verso il principio, come fosse una speciale facoltà datale dalla natura. Si è
alti, si è bassi, si è simili, si è anche talmente differenti! La natura che fa
di noi corpi stabili, gioca dei cambiamenti a volte fortunatamente solo in chi
può sopportarli. E lei ha sopportato tutto senza stupore, senza recriminazioni,
accettando ciò che poteva depositare in terra (figli, matrimonio) nei momenti in
cui il volo radeva la vita normale, poi alzandosi di nuovo in volo o precipitando.
Non importa se per altra malattia, disastri, lei era su quella spira
insondabile e non ha mai provato paura.
La paura, io credo, deriva dal pensare che fuori da una
linea ferma o retta esista il male
come differenza inconoscibile, ma la natura stavolta benigna con lei, le ha
dato le coordinate di volo, l’intelletto per capire e adeguarsi. Le ha perciò
tolto paura.
Romanzo estremamente originale che riproduce con fedeltà
semplice e ricca, quella sua “diversità” rispetto alla vita degli uomini, quello
scandirsi con naturalezza, l’accettarsi perché così è voluto chissà dove e lei
è stata solo l’occasione fisica per concretare un pensiero forse divino, forse
solo naturale, forse anche unico, ma comunque importante per farci riflettere
sul fatto che non esistono differenze, qui nella terra e altrove, bensì
situazioni di una tale complessità intelligente
che vanno oltre quell’intelligenza appunto generica che è l’intelletto umano.
Oppure l’ordinaria volontà di ammettere che ogni dilatazione di senso è sottrazione
di canone, di ordine, e non di “sapere”.
Ne derivano allora due fatti, uno vitale, autobiografico, e
uno letterario. Diversità di vita che porta a diversità di struttura narrativa,
e che in questo romanzo è fattore emblematico. Ci sarebbe un'ulteriore
disamina da fare che forse esula dalla precisa lettura del testo, il quale
rende traghettabile la prima grazie alla propria maggiore chiarezza. Basterà allora dire come qui, nel
libro di Cristina Bove, è evidente l’intreccio dei due motori, formale e di
esistenza, verità e riproduzione stilistica, e quanto misero sia il giudizio di
chi perde di vista la somma dei due.
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