sabato 14 giugno 2014

Metà del silenzio - lettura di Narda Fattori

  

Normalmente si definisce il silenzio come un vuoto dentro il quale naufragano gesti e parole; il titolo di questa silloge avrebbe ben poco senso se così fosse; il silenzio, al contrario, è un pieno che non sa dirsi, è la vita che si vieta di narrarsi, è il pensiero che si riflette e non sa trovare formule per esplicitarsi.
Affrontare il silenzio è affrontare se stessi, interamente e integralmente. E’ un’impresa complessa, forse impossibile.
Affrontarne la metà è indice di coraggio, è necessità di estirpare i carcinomi che senz’aria, reclusi, proliferano e diventano pericolosi.
In questa metà del silenzio di Cristina forse non c’è metà dei suoi  vissuti, ma riconosciamo le sue fatiche, le sue amarezze, le sue ritrosie, gli ardimenti, i suoi pensieri appesi e lucenti come led ai frattali dell’universo. Gli ardimentosi accostamenti di parole e immagini denunciano una cultura che abbraccia più branche del sapere intrise nella sua e nella nostra vita, spesso mascherate, a volte quasi in mostra.
Queste sono anche le caratteristiche della poesia di Cristina, non semplice, ma qua è là quasi disincantata e disincarnata. C’è molta umanità di sentire e di soffrire, ci sono squarci ironici e giocosi, c’è soprattutto una messa a fuoco precisa, imperdonata. “Sotto la chioma bruna/ che parla in strato sferico/ riferimenti in sovra-numero / --- “ la poesia termina con un inatteso “e sì che vorrei essere un abbraccio” Quest’ultimo verso dice molto della filosofia e degli atteggiamenti culturali e comportamentali di Cristina, ferita, delusa, non più in attesa, ma lei accogliente, rassicurante, protettiva. Ma “nei giardini delle esperidi/ i pomi restano appesi ai rami”  La poetessa fruga nelle sue esperienze e in quelle altrui alla ricerca di un qualsiasi bene; non mancano ma sono racchiusi in impenetrabili gusci o si sono rarefatti lungo il cammino ormai cetre spente.
Così ogni tentativo di volo oltre e sopra il dolore è destinato a fallire, la parola no, essa resta, consolazione degli afflitti, surrogato degli affetti, bastone che sorregge l’andatura zoppicante e scansa il tranello lungo il percorso. Molto spesso il percorso si tuffa in mare e qui mutano le forme di vita non l’esito, sempre capriccioso e indocile.
Nella sovrabbondanza di parole che affluiscono nella stessa poesia da diversi campi semantici qualcuno potrebbe inferire una ricerca razionale raffinata, poi si scopre che certe visioni tornano, che alcune parole sono tracce e indizi, esistono per la loro capacità di dire in quel modo e solo in quello. La poesia di C.Bove ha un’altra caratteristica: pare non rivolgersi a nessuno: non a un io, né a un tu, neppure ad un noi o voi, tutto coesiste e tutti sono chiamati allo specchio della loro coscienza; soltanto quando parla di donne il grumo del suo dettato si scioglie e la poesia si apre come un fiore dai molti petali ( non so se rosa o girasole) ma da quell’apertura penetrano solo amarezze, illusioni. Ci sono poesie sulle crudeltà contro i bambini e allora il linguaggio si liquefa in pianto; né mancano i j’accuse contro i potenti sempre prepotenti, sempre pronti a calpestare  la dignità dei poveri .
Tecnicamente la poesia di Cristina è priva di retorica; qua e là gioca con i doppi sensi, con le assonanze; tuttavia queste poesie possiedono una musicalità propria di chi ha il ritmo e le cadenze dentro, come un musico.



Narda Fattori