venerdì 10 gennaio 2020

Anna Maria Curci su "La simmetria del vuoto" - Arcipelago Itaca edizioni

L’equilibrio della sospensione: _La simmetria del vuoto_ di Cristina Bove

C’è un verbo che associo alla poesia di Cristina Bove e che si addice in modo particolare a questa raccolta, _La simmetria del vuoto_. È un verbo che appartiene alla lingua tedesca e, come spesso accade per i passaggi da un idioma all’altro, racchiude molti significati, che non possono essere resi con un solo verbo italiano. Il termine tedesco è schweben, e vuol dire stare sospesi, librarsi, così come, pure, oscillare, fluttuare. Ecco, la dimensione nella quale si muovono e alla quale permettono di accedere i versi di Cristina Bove è sicuramente ‘oltre’, al di sopra (si pensi al «canto al di sopra della polvere» dei Canti lungo la fuga di Ingeborg Bachmann), si muove, si libra, sorvola, conservando tuttavia la piena consapevolezza del bilico perenne, della sospensione su un abisso che può essere fatale, o lo è già stato e dunque si spalanca nell’indaffarata noncuranza della maggior parte dei viventi.
Occorrenze e ricorrenze sono una prova vivida del collocarsi della poesia di Cristina Bove su una soglia tutta particolare. Più che fermarsi al vano di una porta, le immagini prendono per mano e conducono piuttosto sul parapetto di un balcone, sull’impavesata di un veliero, su scogli a picco o, ancora, sul limitare di un bosco insieme incantato e insidioso e, naturalmente, “attraverso lo specchio” di Alice in Lewis Carroll. Già soltanto con il termine “oltre”, ci imbattiamo - mentre la ricchissima tavolozza di Cristina Bove dispiega una formidabile gamma cromatica e ripesca dalla nostra memoria, anche senza menzionarlo, il blu oltremare -  in due composti, «oltresemantico» e «oltreluce». Si tratta di due termini che interpreto come programmatici: occorre aspirare a significato e a chiarezza che comprendano e insieme superino il piano sensoriale.
Altro termine ricorrente è «volo» – e torniamo al librarsi, all’essere sospesi, al sorvolare. Se il volo è da un lato legato a un episodio-svolta nell’esistenza  - «da quella notte del trentuno agosto», leggiamo in 1961 (epilogo d’estate e d’un suicidio) - , come ribadiscono i versi di Immaginaria lettera d’amore:  «: è lì che sei rimasta, passandoti attraverso/ indenne/  così ti vidi nella scia del volo/ cadere tra i gerani  e adesso il velo/ che ti sfigura e quasi ti cancella/ ha il senso che ti diedi _parve una foto in ombra_/ tuttavia/ raccolsi ogni tuo modo di morire/ non potevo sapere/ quanto ti avrebbe consentito il vivere», e gli endecasillabi perfetti di In itinere: «eppure un volo le testimoniava/ di un alfabeto senza le parole», dall’altro esso si manifesta sotto le sembianze di turbinare universale di «sirene pesci girifalchi in volo» nell’(auto)irridente La visione centripeta, in cui «è l’Es che r(ide) e si ridimensiona».
Cristina Bove sembra avvertire chi legge: non ti fermare al primo significato, non ti fermare all’apparenza, abbi il coraggio di scavalcare,< di fare un balzo o scivolare dall’altra parte, in altre parole, semplicemente, di oltrepassare. Questo fa sì che anche coloro che, come chi sta scrivendo,  hanno visto ‘nascere’ molti di questi testi e ne hanno seguito i primi passi, con sentimenti mescolati di empatia e di sorpresa, possano avvertire, a ogni rinnovato passaggio, l’invito ad addentrarsi maggiormente in questo mondo fatto di percezioni chiarissime, ma non liquidabili o esauribili con un atto di mera ragione o con una immediata sovrapposizione, a mo’ di carta copiativa, al dato biografico.
Librarsi a un livello superiore non significa affatto condannarsi ad essere tanto eterei quanto esili, tutt’altro. La poesia di Cristina Bove conosce e pratica la robusta critica alle piccinerie del momento così come alla perdurante ‘tentazione al vanesio’ in multiformi e vuote varietà e, con accenti e versi inequivocabili, al potere rimpinzante e narcotizzante, come avviene in Ipnagogica: « il potere ha lo sporco nelle unghie/ _un supermarket delle  ambiguità_/ distribuzione  di foraggiamenti / appalti e nomine, tanto a pagare sarai sempre tu/  tu prono, col tuo codice fiscale/  illuso d’esser libero/ ma incatenato e con la palla al piede».
Avere acquisito una visione dall’alto (e il prezzo è salato, sconti non ce ne sono, su questo non può sussistere alcun dubbio, leggiamo tra i versi e nei titoli sapidi e creativi; uno per tutti è Affetti collaterali) non è motivo di vano inorgoglirsi per Cristina Bove, ma, al contrario, pungolo di ricerca per un comune denominatore umano, nonostante tutto, o, forse, per una condivisa dimensione ‘oltreumana’, ma senza alcuna forzatura esoterica o vitalistica.  La condizione di «sospesi», infatti, si concorda in questa raccolta quasi sempre con a un «noi» che comprende, che non esclude. Per sé, Cristina Bove assume il compito di cercare un equilibrio nella sospensione, consapevole dell’azzardo e dell’instabilità incombenti: una simmetria del vuoto, appunto,  «_tra due trattini stesi_» (in .mettere un punto).
«E quelli che vivono male e in modo sbagliato il mistero (e sono moltissimi), lo perdono solo per sé e lo trasmettono come una lettera sigillata, senza saperlo», scriveva Rilke in una delle Lettere a un giovane poeta (questo passaggio, nella mia traduzione, è tratto dalla lettera spedita a Kappus il 16 luglio 1903, quando Rilke si trovava a Worpswede): Cristina Bove ha fatto tesoro di questa constatazione e lascia a chi legge la scelta di aprire o lasciare sigillata quella lettera.

Anna Maria Curci