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domenica 24 novembre 2013

Recensione di Renzo Montagnoli


http://edizionismasher.it/cristinabove2.html

Una per mille
di Cristina Bove
Edizioni Smasher
Narrativa
ISBN 978-88-6300-098-6
Prezzo € 12,00




Una vita movimentata


Per chi è abituato a scrivere poesie il passaggio alla narrativa rappresenta sempre un valico arduo da un campo in cui si è acquisita esperienza a un altro che è tutto nuovo e sconosciuto. Potete ben capire che un conto è metter giù dei versi che fotografano un’emozione, un sentimento, mentre altra cosa è svolgere un tema in più pagine, anzi in molte pagine. Credo che Cristina Bove, pertanto, abbia fatto una scelta giusta, non scrivendo un romanzo, ma quella che può essere definita un’autobiografia fra il passato e l’oggi, quest’ultimo destinato per lo più a riflessioni di carattere generale. Il continuo ripescare fatti ed episodi della propria esistenza, come il ritornare all’oggi, se all’inizio disorienta un po’, alla fine si apprezza perché in questo modo si evitano quelle esposizioni cronologicamente successive che tendono inevitabilmente a tediare il lettore. Direi che l’autrice ha un po’ ripercorso il metodo utilizzato da Stendhal per il suo Vita di Henry Brulard, che, guarda caso, è un’altra autobiografia.
Certo, a leggere queste pagine, mi accorgo che la mia vita è stata tutto sommato lineare, e non certo discontinua, quasi avventurosa come quella di Cristina Bove, che volentieri si confessa, raccontando certi fatti che altri magari preferirebbero tacere, ma che a ragion veduta sono stati determinanti nell’iter vitale, come un certo volo da un quarto piano, risoltosi miracolosamente con serie fratture, poi sanate; non sanato invece è stato il motivo di questa caduta, fatta passare dai familiari come un’imprudenza. Va bene, era giovane e da giovani si commettono sciocchezze, però episodio dopo episodio mi sembra di riscontrare un problema di fondo, causato  dall’assenza della figura paterna (il padre c’era, ma se n’andò di casa, quando lei era ancora piccola). Che volete mai, ognuno ha le sue teorie, ma credo che quell’abbandono abbia segnato per sempre, nel bene e nel male, la vita dell’autrice. E poi il collegio con le camerate fredde, l’impossibilità di realizzarsi scolasticamente sono tutte cose che lasciano inevitabili strascichi; da, qui, forse un remoto rigurgito di insoddisfazione che né un matrimonio, né la nascita dei figli sono riusciti a sanare.   Solo l’arte, la passione di leggere, di scrivere, di dipingere, insomma di concretizzare in forme plastiche o comunque accessibili quella inconscia rabbia che si porta dentro, hanno potuto generare un’oasi di appagamento, tanto che mi viene da dire che senza la scrittura non avremmo Cristina Bove, cioè senza di essa si sarebbe lasciata andare e che lo scrivere sia per lei come il respirare, una condizione unica e indispensabile per continuare a vivere.
Personalità indubbiamente complessa, che si riflette anche nella sua produzione poetica, eventi ed accadimenti (in cui si spera ci sia almeno un pizzico di fantasia), ci vengono sciorinati quasi come fossero normali, e invece, per lo più, non lo sono.
C’è in tutto questo, come nella vita di ognuno di noi, un disegno sconosciuto, e il raccontarci finisce con il diventare la ricerca di questo programma. Non credo che Cristina Bove sia riuscita a scoprire l’arcano, ma in cambio, per farlo, ci delizia con questa sua autobiografia dal linguaggio semplice, ma immediato, uno specchio in cui si riflettono dieci, cento, mille Cristina, sempre la stessa e pur così diversa, a seconda dell’angolo di osservazione.
Ma in fondo chi, pur credendosi unico, a guardare dentro di sé non trova tante e tali sfaccettature che prima non avrebbe immaginato?
Ecco, fra penne e pennini, fra carta e inchiostro, rivoltato il suo passato, Cristina Bove, senza ipotecare un avvenire, lascia un segno nel presente, ripercorrendo il suo passato.
Da leggere, mi sembra più che chiaro.

Renzo Montagnoli   




Cristina Bove è nata a Napoli il 16 settembre 1942, vive a Roma dal ‘63. Ha cominciato da piccolissima a disegnare, a nutrire la passione per la lettura. In seguito si è dedicata alla pittura, alla scultura, di quattro raccolte già pubblicate. e alla scrittura.  Negli ultimi tempi si esprime soprattutto in poesia, molti suoi testi formano le sillogi pubblicate.
Scampata più volte alla morte, ha grande comprensione per chi soffre, nel fisico e nella psiche. Crede nella libertà e nella giustizia, pensa che il rispetto della diversità sia un valore fondante tra gli esseri umani e ne sia inestimabile ricchezza. È alla costante ricerca del significato di questo infinito mistero in cui si sente immersa e partecipe.
Ama la vita, i suoi cari, e tutti gli esseri umani dal cuore buono e dalla mente aperta. Considera la poesia un linguaggio universale, l’esperanto dell’anima.
Scrivere è per lei una sorta di rispetto per la propria e altrui memoria, un fissare con la parola il pensiero affinché non si disperda, e renda sacralità alla vita.
Ha pubblicato tre raccolte di poesie per la casa editrice Il Foglio Letterario:  Fiori e fulmini (2007), Il respiro della luna (2008), Attraversamenti verticali (2009). È presente in diverse antologie: Antologia di Poetarum Silva (a cura di Enzo Campi), Auroralia (a cura di GajaCenciarelli), La ricognizione del dolore (a cura di Pietro Pancamo), Antologia del Giardino dei poeti (a cura sua e di altri poeti), Mi hanno detto di Ofelia (2012) per le Edizioni Smasher.



E in alcuni siti, tra cui:
La dimora del tempo sospesa, Neobar, Filosofi per caso.
Il suo blog su wordpress 
http://ancorapoesia.wordpress.com/
Conduce il blog 
http://giardinodeipoeti.splinder.com/
È nella redazione di  
http://viadellebelledonne.wordpress.com/

mercoledì 23 febbraio 2011

Francesco Marotta

sulla mia poesia

Ho sempre pensato che la poesia fosse un linguaggio particolare, che offrisse la possibilità di comunicare a parole ciò che non si riesce a esprimere altrimenti.
So che i testi poetici si scrivono per necessità, per non implodere, almeno a me così capita.
Ma estrinsecare il concetto di poesia, non certo presente in me mentre scrivo, non sarebbe stato nelle mie possibilità.
Quindi la mia sorpresa è stata grande nel leggere quanto ne pensa il poeta
Francesco Marotta nel seguente brano, replica a una serie di commenti, 
sul suo blog  La dimora del tempo sospeso "   :
 

“…siamo di fronte a una scrittura all’interno della quale …“anticlimax” è un “passo funzionale” all’espressione complessiva, una funzione di verifica e di controllo della materia e del dettato lirico – finalizzata, in modo consapevole o inconsapevole, a impedirne con estremo rigore il “tracimare”, l’enfasi, l’effetto che nulla aggiunge al ventaglio delle possibilità conoscitive che un testo comunque veicola.

La poetica di Cristina è un attraversamento lucidissimo della grande tradizione italiana novecentesca, ma a “testa sempre molto alta”, guardando “avanti” e non “intorno”. L’intorno suggestiona e, inconsciamente, finisce per legare il “passo” alla fascinazione dei modelli, dei monumenti, o dei ruderi, splendenti che popolano il paesaggio circostante; l’avanti è la fedeltà più intima e conseguente alla “propria” cadenza, al timbro della “propria” voce – il che non significa spogliarsi ad ogni costo delle atmosfere, dei profumi e dei suoni di cui, comunque, ci si impregna nel “passaggio”. Tutto sta nelle “strategie di controllo”, non solo formali, che si mettono in atto, per impedire che il “carico imbarcato” finisca per sostituirsi alla “sostanza” primaria di cui siamo unici e irripetibili portatori. Il testo deve restituire proprio quest’ultima, o non è: sarà anche uno splendido esercizio, ma la “calligrafia” non è, e non sarà mai, poesia. Non è e non sarà mai “stile”, ovverosia la cifra più specifica di una “voce”.


Nelle poesie di Cristina Bove di calligrafico non c’è assolutamente nulla, il che significa che l’attenzione critica alle procedure da cui la forma si origina è ben vigile, attiva. E non solo a livello cosciente, a mio modo di vedere – perché esiste anche una “forma occulta” (che ha i suoi tempi, i suoi modi e la sua sintassi) attraverso la quale l’inconscio, comunque, veicola la “materia poematica”, accentuando o declassando taluni vettori in virtù di meccanismi che solo l’ascolto più attento riesce a percepire e a restituire.

Ed è proprio una “lettura/ascolto” così configurata che permette di verificare l’intersecarsi dei due piani. Da una parte il controllo dei livelli di “vocazione emozionale”; la “restrizione” del campo di azione della tensione che, lasciata a se stessa, sfocerebbe, inevitabilmente, nella “commozione”, nella ricerca dell’effetto e della “complicità”; la chiusura di alcuni spazi verbali (con il significato polverizzato e disseminato ad arte nel gioco riflessivo dei significanti) – tutte strategie dove il “pensiero poetico” agisce in piena consapevolezza, con estrema decisione. Dall’altra, le cadute di ritmo che spezzano una cadenza e frustrano l’aspettativa facile del “canto”, aprendo, contemporaneamente, “spazi impensati” di riflessione che solo il lettore può colmare; la “natura ricorsiva” di alcune strutture testuali, con la conseguente insistenza su determinati termini che accentuano la reiterazione dell’immagine o dell’azione; la percezione, fuori controllo, dell’incompiuto, e l’incompiutezza “perturbante” che affiora a increspare l’ordine del discorso o quella che appariva, a tutta prima, come la più “naturale” delle aperture e conclusioni di senso – tutte “emersioni” a fior di lingua di un implacato fluttuare inconscio, del lento, persistente trascorrere di una materia che è già “oltranza”. Cioè poesia.

fm

mercoledì 30 settembre 2009

Renzo Montagnoli per Attraversamenti verticali

Attraversamenti verticali di Cristina Bove Edizioni Il Foglio Letterario www.ilfoglioletterario.it ilfoglio@infol.it
Prefazione di Renzo Montagnoli
Collana Autori Contemporanei Poesia
Poesia Silloge

C'è un famoso detto che recita che non c'è il due senza il tre. Sono modi di dire che si trascinano nella tradizione popolare, per giustificare una certa catena di eventi, di cui poi magari si verificano solo i primi due, mentre il terzo viene rinviato sine die.
Non è il caso delle pubblicazioni di Cristina Bove, poiché dopo Fiori e fulmini del 2007 e Il respiro della luna del 2008, è fresca di stampa una terza silloge e, senza voler fare previsioni azzardate, sono dell'idea che, data la prolificità dell'autrice, ne seguiranno senza dubbio altre.
Questa messe produttiva trova il suo motivo nel fatto che in lei ormai è talmente connaturato il linguaggio poetico al punto che, per esprimersi sui più svariati temi e comunque sempre cercando di fare un discorso approfondito, finisce con il ricorrere ai versi, una forma di esposizione che le risulta particolarmente congeniale, in particolar modo già nell'aspetto propedeutico dell'elaborazione del pensiero.
Che questo modo sia efficace è dimostrato poi dalla qualità della sua produzione, costante, senza cadute, ma eventualmente in una continua evoluzione dello stile, dapprima più semplice e ora appena un po' più complesso, con versi anche secchi, troncature e concentrazione del messaggio, il che finisce per avvicinarla ancor di più alla corrente ermetica.
Già nel titolo, Attraversamenti verticali, c'è infatti la volontà di pervenire a una scrittura meno corrente e comunque emblematica di un pensiero che va a cogliere ogni aspetto della società e dell'animo umano. Del resto l'intera silloge prende il nome da una delle poesie presenti che nella sua dinamica mi sembra supporti adeguatamente quanto ho fino ad ora scritto.

ATTRAVERSAMENTI VERTICALI

Modello a cera persa
in fonderia dove tracima e scorre
si lamenta
nello sbuffo di scarico l'impronta
cavità mi contiene, io sono il segno
dell'avido contrarsi, il luogo e il tempo
il mantice d'intorno
e sboccio come fiamma dalla brace
un'immersione
poi, raggio corrusco
mi spengo nella sabbia del fondale.
Lune dipinte erettili
mi navigano il dorso e fluttuo lenta
nell'ondeggiare delle posidonie.

C'è indubbiamente il tentativo di andare oltre una normale forma espositiva per addentrarsi in un'altra dimensione, in parte ancora non del tutto conosciuta.
Peraltro è presente pure la tendenza a un ritorno alla forma stilistica precedente che ben conosciamo, forse anche perché non è mai possibile troncare totalmente con il nostro passato e allora appare palpitante il cuore messo a nudo di Cristina Bove (Allora anch'io mi chiedo se è così / che si fa poesia / se basta avere l'aria nella testa / un pulviscolo in petto / o una notte di lucciole in cantina /…) oppure (La luna apre le braccia e chiama il mare / nei capelli d'argento /…).
La creatività così si armonizza bene con il concetto e il sentimento, la sensazione ha l'innegabile vantaggio della traslazione immediata all'animo del lettore.
Comunque questo insieme di stile consueto e di esperimento innovativo appare bene amalgamato e tale da accontentare sia chi già conosce l'autrice per il suo verseggiare sciolto e armonico, sia per chi cerca nuovi percorsi espressivi, che sono un segno di vitalità e di perpetuo rinnovamento in un autore che ha ancora da dire molto.
Se mi è consentito un paragone, dico solo che Cristina Bove è come un roseto, che ogni anno si concede una fioritura di diversa scenografia, fermo restando l'originario colore.

Cristina Bove
E' nata a Napoli il 16 settembre 1942, vive nelle vicinanze di Roma dal '63, anno in cui si è sposata. Da quando si ricorda ha sempre dipinto, scolpito, letto molto e qualche volta scritto, famiglia permettendo, poiché la sua stata alquanto numerosa e la sua vita intensa, ricca di eventi meravigliosi come la nascita dei suoi quattro figli, la creatività, gli amici, il miracolo di esserci ancora, sopravvissuta non sa quante volte. Presente in diversi siti Internet con le sue poesie, ha pubblicato le sillogi Fiori e fulmini (Edizioni Il Foglio Letterario, 2007) e Il respiro della luna (Edizioni Il Foglio Letterario, 2008).
Blog: Cristina Bove; Giardino dei poeti; Cristella.
Renzo Montagnoli

http://www.arteinsieme.net/renzo/index.php?m=31&det=5739