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"Una per mille"
Sintesi
emblematica di un percorso di vita, storia di una donna, “Una per
mille”, una e mille: ricordi d’infanzia; rievocazioni; reminiscenze;
sogni e visioni rivestiti dell’apparenza psichica delle emozioni; non
un vero e proprio romanzo autobiografico, ma memoria, un divagare che
procede per analogie, associazioni di immagini e di idee, una sorta di
flusso di coscienza, che conserva, però, una sintassi razionalmente
strutturata, pur se i procedimenti narrativi vengono risolti in modo del
tutto personale e peculiare.
Cristina Bove, artista poliedrica, poetessa, pittrice, scultrice, fotografa, riconduce in quest’opera in prosa tutte
le tecniche delle arti che frequenta. Ne risulta una singolare
composizione, una scrittura colma di immagini e assonanze, che spiazzano
ma coinvolgono il lettore dall’inizio alla fine.
“…
Se ne stava seduta sulla seggiolina fatta apposta per lei da quel suo
nonno falegname a cui mancava mezzo pollice… Sedeva accanto a lui che
ascoltava musica classica, con la testa ripiegata e i pollici sotto le
bretelle…” (pag.5)
“Nel dormitorio, in lettini di ferro ci si stava in due… A me toccò una coetanea, menomale… Avevo sempre freddo…”(pag.8)
“Sta
raccontando la sua vita, certo, e per non perdere il filo, segue una
linea di percorso, alterna, perché così vanno i ricordi. E se uno
comincia a riviversi mica si ferma e aspetta di rincontrarsi a tutte le
età contemporaneamente. O forse sì…”
È sempre Cristina Bove che parla, rivisita il passato e, voce narrante, lo racconta in terza persona; poi
si reincarna nella bimba di un tempo e diviene l’io che rievoca.
Ancora, torna all’oggi e commenta, spiega, quasi fosse altro da sé,
testimone e non protagonista. Il “doppio” (che è poi il mille indicato
dal titolo) qui non rappresenta la dualità tra bene e male o tra possibile e impossibile, quanto
piuttosto un geniale espediente narrativo per colloquiare con il
lettore, per immetterlo nel suo mondo, ricco di chiari e scuri, ma anche
di colori accecanti o sfumati, di “ero, sono, sarò”. Salti temporali, viaggi avanti e indietro tra presente, passato e futuro; un tempo misto; una
scrittura capace di cambiare pelle e adattarsi ad ogni stagione della
vita, ad ogni stato d’animo, ad ogni transizione emotiva. Un monologo a
più voci, attraverso il quale è possibile ricostruire da diversi punti
di vista, di tempo e di luogo, una storia che è vita. Un romanzo che
trova il valore unitario nell’alone di sospensione e di attesa che
sovrasta l’atmosfera e che, dilatandosi oltre i confini di un’unica
vita, assurge a vicenda universale. Ampi spazi di
considerazioni e riflessioni filosofiche, apparentemente divaganti, si
intrecciano al filo onirico che si ritrova in tutta la tessitura
romanzesca; una visionarietà profonda che si dipana attraverso le
memorie che si sovrappongono alle vicende, in qualche modo
condizionandole, un raccontare che è rivivere, un’analisi del passato
senza censure, una vita messa a nudo con delicato pudore
E
così attraversiamo un’intera esistenza, una crescita fisica,
intellettuale, spirituale. Vita intrecciata ad altre vite, recupero del
passato attraverso la memoria involontaria, riscoperta di angoli
dell’anima dove si annida la sofferenza, quella che si rimuove ma con la
quale poi dobbiamo fare i conti tutta la vita:
“Da
una certa rinascita si ritorna nudi, soli… Poi bisogna tener conto dei
distacchi… il primo degli addii fu per il padre… sparì, come Babbo
Natale sotto un cappotto di cammello. Prima ancora, non propriamente un
addio, ma un abbandono sì, fu il giorno in cui si chiusero alle sue
spalle di bambina i battenti del portone del collegio…”
Ma anche momenti tenerissimi di gioie familiari, di esaltazione struggente:
“Quando
glielo misero tra le braccia, fu travolta dal profumo di neonato… Le
accadeva la vita, ed era un mistero così grande da farla piangere…
E poi ancora l’angoscia, gli incubi che ritornano. Quel “salto dal quarto piano come in trance”, quella memoria che diviene “interludio” di tutta una vita, quel “volo sospeso… rimandato sempre…”
Un presagio di morte, o forse un desiderio, che sembra aleggiare in
tutta la narrazione. Ma con una sorta di levità, con autoironia,
cosicché, anche nel ricordo di eventi che per molti sarebbero
devastanti, Cristina trova forza e coraggio, fiducia nel presente e nel futuro:
“Potrebbe
sembrare eccessivo considerare decenni di vita una proroga, eppure è
proprio così che li ha vissuti, sentendosi in un certo senso
privilegiata… “Domani” era una speranza da custodire…”
E il suo libro diviene un inno alla vita, testimonianza d’amore, di generosità, di pienezza intellettuale e spirituale.
Leggerlo, vuol dire arricchirsi.“…rifuggo gli aggettivi: brutta o bella
non aggiungono niente alla mia essenza
né tolgono un momento al mio passato…
…E vivo della mia e d’ogni altra bellezza” (da: "Comunque" di C.Bove)
I.V.
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