Mi hanno detto di
Ofelia (Edizioni Smasher, 2012), di Cristina Bove, ha ricevuto numerose
recensioni in rete, tutte positive. Così com'è entusiasta le Postfazione
di Francesco Marotta, sempre acutissimo nel cogliere, di ciascun poeta, le
inclinazioni stilistiche e la cifra che lo contraddistingue.
La mia impressione
è che questo libro tenga insieme differenti temi e stili, che forse avrebbero
dovuto trovare una migliore organizzazione complessiva, in capitoli in cui
meglio sarebbe emersa una convergenza nei temi, pur nella diversa articolazione
stilistica. Nonostante questo, la "Silloge proteiforme", come scrive
Anna Maria Curci in prefazione, lascia trasparire la stessa mano. Alcuni
elementi retorici e tematici tornano infatti con frequenza: l'uso di termini
botanici e/o settoriali e/o rari (achillea, albedo, blastule, genomi, patagi,
fusciacca, gracula, lunula, sdilinquisce, molcere), la nominazione anatomica di
parti del corpo, l'attrazione per l'esotico (che talvolta si combina con il
preziosismo decorativo, tutto giocato sulla fascinazione dei nomi, cfr. Sherifa),
l'interesse per la sperimentazione segnica (l'uso del trattino basso, che
troviamo anche negli inediti), l'attenzione all'esistenza, pensata nella sua
effimera presenza, sempre sul punto di sparire, la venata malinconia per un
altrove mai stato o per un tempo che non tornerà. Insomma: Cristina Bove è una
donna colta e complessa, che ripensa la vita a partire da un verso denso, che
attinge più da D'Annunzio e Gozzano che da Montale o dai crepuscolari alla
Moretti. Anche se proprio dalla Cesena di quest'ultimo – contaminata con
l'essenzialità dell'haiku – pare attinta la poesia Una ciotola, dove si
dice "è Primavera / una forchetta in bilico / e / abbaiare di cani",
in una sequenza organizzata per elementi emblematici di un quotidiano senza
lampi. La sua poesia civile si gioca su questo piano, mettendo in luce il
grigiore del vivere nella modernità, "noi che venimmo dal tempo / ch'era
il mare un ritaglio di cielo / ed esultanze, ignote geometrie / carezzavano
addosso. // E poi dimenticammo."
E' questa
smemoratezza che va combattuta ("Adesso veglio – sola – a ricordare")
perché la vita, pare dirci la Bove, lentamente si spegne, se non si cammina
"a testa alta", in una solitudine feconda, fatta di interrogazioni al
mondo e alla propria anima. Cristina Bove crede all'esistenza dell'anima, la
nomina in questo libro, la chiama, forse, "Ofelia": morta Ofelia, il
mondo scolora, si frantuma, Eppure non crede in Dio, non in modo evidente,
almeno ("Dove s'affaccia Dio / lasciare un punto di / domanda"). Da
laica illuminista diffida della religione; nemmeno alla poesia affida questo
ruolo. E questo la salva da certa mistica dell'a-capo che attraversa la pratica
contemporanea. Salvezza corroborata dal distacco ironico, che perde (e come
potrebbe essere altrimenti?) quando parla d'amore o di solitudine: "Tu che
ti specchi nel mio nulla" la dice lunga sulla natura tragica di questo
libro, che forse pecca di qualche eccesso d'astrazione, come in questi due esempi:
"Pregai col viso ch'era più un torrente / mani artigliate alla stadera
delle / speranze equanimi / quel tanto da pensare che lo fossero"; e: "E tu sarai fremente d'arabeschi / nel
rovescio di_stanze della terra". Anche nell'uso di parole rare, io starei
parco ("Nell'argilla gli steli d'achillea / sono ditate impresse /
nell'albedo"), perché, forse senza volerlo, riportano al centro l'elitario
quale cifra del poetico, in un tempo, il nostro, dove a vacillare è proprio il
contrario: l'uguaglianza e l'antiretorica.
da Mi hanno detto di Ofelia
TAU
Si può avere una croce
di nuvole basse appoggiata alle scapole nude
il destino di mezze
parole - bizzarrie di gesti - nei campi
di sole e di
grano - amputarsi
d'orecchio il pittore - non furono pane i tuoi versi
partiture d'assensi in
forma univoca le frotte di cornacchie coefore
ingrigite dei tuoi
giorni di fiele.
È di rosa il tuo viso
si arresta se il ghiaccio
mi arriva al diaframma
e non posso morire.
Son io che mi stingo
di sangue la bocca
dipinta al di qua
delle ore, piegata
tu santa dei giorni
scoccati scaduti
insegnavi la vita
a chi muore.
APPUNTiMENTI
addensate tra costole
discostate dagli archi
io violoncello tra laringe e cuore
sonorità profondo
lungo le corde d'improvvisi
in gola
sono non sono solamente soglia
solve et coagula
argento mi distingue all'apparenza
se viaggiare sull'onda
è stringere lame_nti tra le mani
sapete bene come
può tagliare la carta
e allora questo che vi sembra un letto
già libro - o giaciglio disfatto -
infine è uno sbadiglio
in retroscena.
CONTROMISURE
Oh, beh, sì,
potrei
parlare di dolcetti al miele
certo
potrei
anche di
quel loukhoum pistacchi e rose
e poi
tutta la gamma dei colori
potrei
metterci un tango
o il quartetto per archi in fa
maggiore
potrei farvi venire
una crisi glicemica
invece no,
giro la sedia a vite
in calzamaglia
immagino trent'anni e lui be-bop
muscoli e fiato
forse una spruzzatina di far west
e
pupa vieni qui, fatti baciare
pizzi neri e due fucsie tra i
capelli
odore che - miodio -
potrò mai farti giungere in
ritardo
oh, beh, certo che sì
va tutto bene
hai portato le coppe mon amour?
Vedrai, stanotte un angolo di
luna
la cantilena a mantice di un
gatto
suggerire deliri
e tu lo vuoi.
Che sia così?
Forse mistificazione
a sfavillare dove
resta il grumo a stagnare
e penne d'avvoltoio
mimetizzate da paradisea
una parte asseconda il sé
di meridiane e traffici illusori
l'altra spinge ed assedia
è quello che misura il do di petto
dei polli da spennare
il rigetto di cavoli e caviale
si sdilinquisce a
“molcere”
(quale parola-orrore)
sa di moccio, di scivolata in sol_chi
ma tu
quale ansare ti porta sulla porta?
Qual'effrazione pratichi
all'udito?
E per salvarmi appendo alla pineale
il guitto colpo di
tosse
a calare di tela
e adesso dimmi pure una parola
tipo “catalogna” chessò...
ti spiego di verdura ripassata in
padella
ti piace l'aglio?
Se hai fame non ti vendo
la poesia
DIVERSAMENTE STABILE
C'è l'idiosincrasia
- quanto
le piace questo lemma -
per la
parola cuore
le dovesse
scappare non sia mai
spalmata
su parole altisonanti
prosodia
rea
sconfessa
un ragazzo
che viene dal passato
occhi di
broncio
- di sensi
all'erta le concede l'uomo
in
minutaglie sparse
e il suo
andare di fretta -
lui di
bevute solitarie
nel palmo
della mano in senso lato
lei che si
gioca l'ultimo bicchiere
col piede
nella staffa.
UNA CIOTOLA
Una ciotola
e il colore del pomodoro
di striscio
un’avanzata di foglie di basilico
dalle casse Vivaldi
è Primavera
una forchetta in bilico
e
abbaiare di cani
ti frughi nei cassetti
prendi a casaccio nomi
e pepe e sale
ti si inceppa un pensiero
lo appendi ad asciugare…
DI SOLITUDINI
Alla tua solitudine lo posso raccontare
dei miei pensieri cavi, e delle notti
calate sulle rive di soppiatto.
Tu la conosci, è specchio al tuo sottrarsi
anche la mia
ch'è sabbia, neve, voli e
speronate a picco.
A te lo posso dire, fatta di nebbia io sono
quindi nei vuoti d’aria m’abbandono
per una tregua minima
se vuoi
tu che ti specchi nel mio nulla
puoi, nella forma del buio,
porgere la tua mano alla mia assenza.
Inedito
Tecniche di
sparizione
Sono le trasparenze a fare il quadro
non c’è ombra che affondi nel catrame
per quanto denso e colorato
indicativo dell’incirca e mai
la pulizia di netto, il senso che preciso
lascia il segno
_l’anima si tratteggia a mano libera_
è ciò che amo
quell’essere soltanto suggerito
che riconduce al fiato, alla misura nota
univoca, lontana il più possibile dal corpo
quando perfino il sesso ha un suo candore
e nella dignità
tesse ogni cosa
il rito delle proprie tinte arrese
ad ogni mezzo lieve
m’ispira il numero aureo
la coclea a svolgimento senza fne
il raggio
che coglie in pieno petto chi già vive
della sua morte luminosa
e ancora sta
Cristina Bove è nata a Napoli il 16 settembre
1942, vive a Roma dal '63.
Si
è occupata di pittura e scultura. Ha vissuto da
giovane a Tunisi dove fu allestita con successo la sua prima personale di pittura. È sua la scultura in bronzo dell’hotel
Sabbiadoro a S. Benedetto del Tronto.
Negli ultimi tempi si dedica alla scrittura, alla fotografia e all’arte digitale.
Scrive soprattutto poesia.
Scrive soprattutto poesia.
Per le edizioni Il Foglio
Letterario ha pubblicato: Fiori e fulmini (2007), Il respiro della
luna (2008), Attraversamenti verticali (2009).
Mi hanno detto di Ofelia (2012 -
Edizioni Smasher)
Metà del
silenzio
(eBook 2014 - Edizioni PiBuk).
Ultimo lavoro pubblicato: Una per mille (romanzo – 2016 edizioni Fusibilia).
Il
suo blog personale https://cristinabove.net/
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