Quando la poesia
c’è una parola, nella prefazione, che m’ha colpita subito, ma ho continuato a leggere senza darle troppa attenzione. poi.
c’è una parola, nella prefazione, che m’ha colpita subito, ma ho continuato a leggere senza darle troppa attenzione. poi.
poi, man mano che i versi mi disegnavano
storie e raccontavano i vari passaggi della pelle su cui la poetessa si
sostava, quella parola s’è fatta sempre più prepotente.
eleganza.
dalla prefazione di anna maria curci: “…e l’eleganza che unisce talento innato a sapiente e originale rielaborazione è tratto caratteristico di tutti i componimenti…”
ecco, è vero, e l’ho detto a me stessa spesso, dopo.
cerco sempre di non lasciarmi coinvolgere
dalla conoscenza di chi è dietro, a un libro o un disco, quando devo
dire il mio pensiero, ché credo l’onestà sia lo specchio delle dita, un
po’ come quando stringiamo la mano a qualcuno con energia, quasi
volessimo trasmettere tutto il piacere di quell’incontro.
ecco, incontrare cristina bove attraverso
il profumo della carta stampata, è un rinnovare il piacere che si prova
mentre la si legge nel virtuale, ché riesce a trasmetterti tutti i suoi
voli terreni con ali d’anima, e sia che si pianga, si sorrida o si
attraversi solo un sogno o un incubo, c’è sempre il desiderio della
bellezza che esplode come un’impollinazione.
non è voluta, è innata nelle righe che scorrono e pian piano si manifestano. e restano.
il suo componimento “Sbalordire” termina con questi versi: “…una teiera bianca…”
ecco, una semplice immagine scolpisce la
sua porcellana, e le sue poesie sono di questa materia. e calde, come i
suoi incontri vissuti, proprio come il bianco che sa disegnare, sempre e
comunque, l’eleganza.
lei è ovunque, ed anche loro, che
possiamo essere noi vestiti da personaggi incontrati, e nei suoi viaggi
tutto è collocato nell’universo naturale che la circonda, come ad
esempio “…il sole nell’ampolla dell’aceto…” ( da “Minime (?) COSE“) o “…bevevo la luce dal turchino…” (da “Sherifa“).
“Chi legge è invitato… a seguire vene
sotterranee erroneamente date per esaurite, a percorrere traiettorie
divergenti dal canone consolidato, anche da quello che l’epidermica
impressione può far percepire come inusuale e innovativo e che troppo
spesso, nella poesia contemporanea, non osa oltrepassare la striminzita e
logora tessera del canovaccio pseudo-ermetico-essenziale.” (dalla prefazione).
sì, mi sento di condividere appieno le parole sopracitate, e quelle a seguire della post-fazione di francesco marotta: “…tutte
“emersioni” a fior di lingua di un implacato fluttuare inconscio, del
lento, persistente trascorrere di una materia che è già “oltranza”.
Cioè: poesia.”
a chiusura non posso che…passare “la lingua intorno all’orologio”, ché nulla si chiude del tempo goduto…
simonetta bumbi
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