Un
vero poeta si riconosce da molti dettagli, primo fra tutti dallo stile personale,
originale, e senza dubbio anche dai temi indagati con le sue poesie. Salta
subito all’occhio, alla prima lettura, anche la forma con i suoi ritmi e la
musicalità. Ma queste caratteristiche sono, vorrei dire, intrinseche al
poetare, così come la metrica, la rima o i versi liberi che, se pure non di
secondaria importanza, assumono un valore aggiunto quando la poesia esprime
pensieri profondi o rimanda ad esperienze per così dire ‘universali’,
sommovendo emozioni e sentimenti genuini, o evocando atmosfere, risvegliando
ricordi, nostalgie, suscitando speranze e ottimismo, anche.
Questo breve preambolo
mi porta a considerare che nella nuova silloge di Cristina Bove, ‘Una donna di
marmo nell’aiuola’, gli elementi sopra accennati si ritrovano tutti, e rendono
la lettura delle poesie molto piacevole.
È anche vero che, se
non si ha una certa familiarità con il suo modo di poetare, già dalla prima
lettura occorre una attenzione particolare, verso per verso, e successivamente
una ri-lettura che consenta di verificare la comprensione, o di assaporare,
quantomeno, il distillato dell’essenza di ogni poesia. Questo perché Cristina
spazia nei cieli immensi della sua anima e si rischia di perdersi se non ci si
lascia condurre per mano.
In questa silloge, in
particolare, l’autrice ci offre una sua lettura in controluce del reale, come
attraverso una sorta di ‘diaframma’ del pensiero, che mostra mentre anche
nasconde: sono riflessioni sulla vita, sull’amore, sul tempo, sulla psicologia
dell’io.. ecc.. tutte tematiche molto complesse, che si lasciano solo
parzialmente scandagliare e che quindi comportano una continua rivisitazione,
poiché ogni volta si coglie appena un minimo aspetto, lasciandone in ombra
un’infinità.
Volendo fare di questa
mia breve nota qualcosa come una lettura a volo d’uccello, mi soffermerò
soltanto su aspetti salienti, visibili -appunto- nell’insieme delle poesie, a
cominciare da una strategia molto efficace utilizzata da Cristina in molte
poesie di questa silloge, e cioè l’andatura contrappuntistica della
versificazione, così che, mentre si ascolta una prima ‘melodia’ e se ne coglie
il senso, è già a disposizione una successiva ‘voce poetica’ che in qualche
modo incalza la prima, la ricorda, la riafferma, ma è diversa pur essendo
simile, creando così un effetto di accordo-relazione tra le varie parti, pur
indipendenti dal punto di vista della musicalità.
Oltre a questo
godibile modo di procedere poetico, si possono agevolmente rilevare:
- delle
contrapposizioni ‘diafane’ di negativo e positivo, sfumate dall'uno nell'altro,
come rivela già il titolo della silloge: l’impietrirsi della donna (di marmo) ma sull’aiuola (sul morbido); altre contrapposizioni le
troviamo tra vita/morte, calore/gelo,
ombra/luce, ecc…
- l’utilizzo, a volte
spiazzante, di metafore, molte delle quali tratte dal mondo marino, come se
l’acqua fosse un valido supporto per l’effimero che è rappresentato dalla vita
(infine arresa ai silenziosi flutti / mi spiaggerò su quella stessa riva /
male che venga _come una risacca_ - v. ‘Male calmo’ - pag. 47)
- talvolta aforismi
metaforici come questo, bellissimo: le pietre non carezzano le pietre / _è
compito del sole farle vive_ - v. ‘Esaurivento’
- pag. 67)
- la categoria della
solitudine, insistita, in più d’una poesia, perché elemento costitutivo di ogni
essere umano
- una lucida
consapevolezza del tragico destino comune
- un rapporto
controverso con il tempo, tra la sparizione dei minuti, l’effimero presente e
una presunta eternità
- una sottesa
amarezza, nei versi e, a volte, nei titoli stessi delle poesie; non disgiunta,
tuttavia, da sottile ironia, semplice escamotage
per resistere alle insidie del tempo, ma anche sguardo intelligente
sull’accadere, in generale
- un ‘nutrimento’ culturale vastissimo, (come già evidenziato in
precedenti mie recensioni di altre sillogi della Bove), che non smette mai di
essere metabolizzato in modi sempre
nuovi
- e, certamente
fondante della poetica boviana, il sentimento di comunione profonda con ogni
aspetto dell’universo (condiviso con Walt Whitman, in Foglie d’erba).
E già, il mondo! Tutto
quello che Cristina pone sotto la sua lente poetica di ingrandimento, è il
mondo nella sua stanza: → ricordi visioni sogni parole illusioni immagini,
tutto passato al vaglio attraverso quell’in_certo ‘diaframma’ del suo pensiero,
anche mentre se ne sta a fare altro… (solo un esempio, Poi la nave bianca,
pag. 79)
Ma ad andare ancora
più in profondità nell’analizzare le poesie di Cristina Bove si rischia, di
nuovo, non di non comprendere, ma di essere certi di aver compreso bene quel
che voleva dire e nello stesso istante essere certi che voleva dire anche
altro, perché la sua è la poetica del dire-non dire (come molto ben esplicitato
ne’ L’oscuro lato della poesia, pag. 51).
Una sfida per il
lettore, e forse anche una sfida per la stessa poetessa.
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